Io credo che ciascuno di noi insegua il proprio "modello" di verace e credo anche che, a parte sporadici sbandamenti, ciascuno di noi sia, a modo suo, un "purista" della pizza, ovverosia che non accetti compromessi.
Per quanto mi riguarda, molto di sovente avverto il bisogno di rimettermi in discussione perché talora sento scricchiolare quei "fondamentali" che sono alla base delle mie conoscenze dell'arte bianca. E allora cambio tempistica, temperatura di fermentazione, idratazione, metodo di impastamento, farina, dosaggi di sale e lievito ecc. ecc. Per poi però ritornare sempre all'ovile, ricordandomi che la verace segue in realtà' regole semplicissime la cui osservanza, nei momenti di smarrimento, funziona meglio di una bussola.
Il mio modello di verace e' la pizza dell'Antica Pizzeria da Michele. La prima volta che la mangiai ebbi il classico colpo di fulmine e da allora nessun'altra pizza ha saputo regalarmi eguali emozioni.
La mia pizza classica (makò marcata su cornicione tendente al bianco) vuole essere un omaggio a quel prodotto, prodotto che ha saputo farmi sognare e soprattutto godere...
Fino a oggi ho sperimentato molte varianti. La pizza con la Caputo Gialla rappresenta uno dei tanti esperimenti. Ieri ho sfornato un'ottima "pizza": mako fine, cornicione dorato, alveolatura dai urlo,....ma....nonostante tutto...rimango dell'opinione che per chiamarsi "pizza", o meglio "verace", la pizza deve perdere completamente le caratteristiche e la consistenza del pane e per raggiungere questo risultato ci vogliono 24h....dopo 24h (sto volutamente generalizzando) il nostro composto smette di essere pane (e meglio pane, pomodoro e mozzarella) per diventare pizza....verace pizza napoletana.